Il paesaggio del castagno: da pane dei poveri ad attrattore territoriale
Le montagne abruzzesi sono generose di castagne. I castagneti crescono fino a 1100 metri s.l.m. e in certi luoghi assumono aspetti imponenti.
In località Morrice, nei pressi di Valle Castellana (TE), si trova il castagno di Nardò, tra i più grandi d’Italia, con la circonferenza record di 14 metri. La superficie coltivata a castagno da frutto nella regione è pari ad ha 1.350 (dati ISTAT 2013) con una produzione, rilevata dall’ISTAT nel periodo 1999 – 2007, pari a q.li 2.750 di marroni di buona qualità. Le aree castanicole abruzzesi, che insistono principalmente su unità arenaceo-marnose del miocene medio-inferiore, sono cinque, localizzate nel territorio dei comuni di Valle Castellana e Crognaleto (Teramo, Monti della Laga); nella Valle Roveto (in provincia dell’Aquila, a ridosso tra Lazio e Abruzzo, ai piedi dei maestosi Simbruini-Ernici); nel comprensorio di Cagnano Amiterno-Montereale (alto aquilano) e nel comune di Ocre; a Sante Marie-Carsoli-Tagliacozzo (L’Aquila, Monti Carseolani). Ognuna delle citate aree si caratterizza per la coltivazione di specifici ecotipi di marrone fiorentino:
- il marrone di Valle Castellana;
- il marrone di Crognaleto e la castagna «Pacifica», coltivata sempre nel comune
di Crognaleto (1);
- la «Roscetta» tipica nella Valle Roveto;
- il marrone di Antrodoco, con presenze sporadiche nel comprensorio Cagnano
Amiterno Montereale dove prevalgono, soprattutto, cedui castanili per la produzione
di paleria;
- la castagna «Lombardesca», presente nel comprensorio Sante
Marie-Carsoli-Tagliacozzo.
I citati marroni hanno caratteristiche organolettiche pregevoli ma difettano un po’ di pezzatura (variabile fra 50 – 130 frutti per chilo), soprattutto nelle annate in cui l’estate ha un andamento climatico asciutto. La disponibilità di acqua condiziona fortemente sia la produzione che la pezzatura dei frutti e la mancanza di piogge regolarmente distribuite può causare stress idrico alle piante.
Il castagno, addomesticato in Armenia nel primo millennio a.C., attraverso l’Anatolia, la Grecia e la Magna Grecia, arrivò ai romani che lo diffusero sistematicamente nell’Impero, anche nella Valle Roveto. Qui le folte selve furono popolate sin dal periodo imperiale da castagni, come testimoniano alcune iscrizioni rinvenute nel territorio di Antinum, oggi Civita D’Antino, suggestivo comune rovetano – fino al terremoto del 1915 luogo di soggiorno di una folta schiera di pittori danesi – all’epoca, uno dei quattro municipi romani della Marsica. Più diffusamente il castagno arriva in Abruzzo in età medievale, dove già dall’IX sec. alcuni patti agrari obbligano i concessionari a piantare castagneti. Anche se non ci sono fonti scritte, in questo periodo sono soprattutto i monaci benedettini a piantare e ad incitare le popolazioni rurali a piantare castagni. E’ tra il 1200 ed il 1300, come in tutta l’Europa latina (Francia, Spagna, Italia, Portogallo), che in Abruzzo si diffonde la coltura del castagno e nel contempo si consolidano le tecniche colturali: le castagne sono gradualmente sostituite dal marrone, molto più pelabile e sapido. Documenti ne attestano la diffusione nel territorio di Valle Castellana, nel teramano, già dal XIII secolo. D’altra parte, la vita dell’uomo, specialmente nelle aree appenniniche più eccentriche, è da sempre strettamente legata alla presenza del castagno nel paesaggio agrario. Durante il Medioevo, spesso si fondava un nuovo villaggio solo laddove il castagno poteva crescere e dare legname e frutti, indispensabili per le esigenze quotidiane (alimentazione, riscaldamento, costruzioni). L’importanza dei castagneti in Abruzzo nel passato è dimostrata anche dall’ampia legislazione comunale ad essi dedicata. I forestali dovevano sorvegliare, come da giuramento prestato, almeno due volte a settimana, i boschi di castagno e denunciare tempestivamente alle autorità municipali tutte le infrazioni. I castagneti anche in Abruzzo raggiungono la loro massima estensione alla fine del 1800. Nel XX secolo inizia la decadenza del castagno. Le cause sono diverse: la concorrenza di altre piante alimentari, l’accresciuta domanda di tannino, prodotto dal legno di castagno, la diffusione di alcune malattie. La castagna ha costituito per secoli un’importante fonte di sussistenza per i residenti dei comuni abruzzesi dove erano presenti selve castanicole. Ma la castagna, ”il pane dei boschi”, oltre a costituire un importante elemento di sussistenza, ha rappresentato sino alla fine degli anni’60 del ‘900 una significativa fonte di reddito, veniva, infatti, largamente esportata. Fiorente era un tempo anche il commercio del legno di castagno, utilizzato come legna da ardere, per fabbricare mobili, botti e soprattutto nell’edilizia. Le travi che sorreggono i tetti di molte case abruzzesi sono quasi tutti di castagno e molti vecchi mobili sono costruiti con legno di castagno. I fili del telegrafo, che per la prima volta collegarono molti comuni abruzzesi al mondo, poggiavano su solidi pali di castagno, analogo discorso vale per i cavi elettrici e telefonici. Pur non essendo un combustibile eccezionale, in periodi in cui il legno era un bene prezioso e scarso, il legno di castagno veniva utilizzato anche per alimentare le carbonaie. Tracce di carbonaie di castagno sono rintracciabili in tutti i boschi abruzzesi. Il castagno costituiva la fonte principale di sostentamento per i maiali, un tempo fondamentali per l’economia contadina. E’ nella raccolta delle castagne che trovava occupazione una manodopera esuberante addetta prevalentemente all’agricoltura. Oggi i castagni si prestano, sotto molteplici aspetti, ad una valorizzazione turistica. Basta inoltrarsi all’interno dei boschi di castagno per vedere quanto sono varie le potenzialità di sfruttamento turistico. Sentieri dal colore rosso sanguigno, che corrono lungo tutti i boschi, possono costituire interessanti itinerari di trekking. Nel bosco di castagno razionalmente diradato possono essere valorizzate le pazienti opere che hanno segnato la storia millenaria della civiltà appenninica: i sentieri, le scalette, i canaletti per l’irrigazione, le fontanelle, i seccatoi, gli argini, le formelle, i muriccioli di pietra a secco, molti dei quali coperti di muschio, che ancora oggi definiscono i limiti dei campi di cereali e di patate che una volta crescevano sotto i castagneti. Oggi il sottobosco di castagno, libero dalle colture e dal pascolo degli animali, è ricco di fragole e funghi. Non esiste comparto forestale in Europa che più del castagno offre ai funghi un habitat ideale: tra le rigogliose felci esplodono dopo le piogge estive porcini, ovuli, lattari, ecc. Inoltre i boschi di castagno costituiscono un habitat favorevolissimo per diversi animali. Al castagno sono legate usanze, leggende, tradizioni. Il frutto ha originato una fiorente cultura folcloristica, lo testimoniano motti, leggende, proverbi, tramandatisi fino a noi. Il castagno è considerato simbolo di provvidenza in quanto il suo frutto, seccato ed immagazzinato, può servire di nutrimento durante la stagione invernale. La castagna, protetta dal riccio, secondo i vecchi rappresenta la virtù in generale e la castità in particolare, circondata come è da spine che non la pungono, ma che costituiscono un baluardo contro la tentazione. Alle castagne si attribuiscono anche virtù terapeutiche ed una volta anche di cosmesi: l’acqua di cottura della buccia era utilizzata dalle donne per esaltare i riflessi dorati dei capelli biondi. I boschi di castagno sono l’habitat di riferimento di favole e novelle. Le nonne rovetane ancora oggi ritengono i boschi di castagno abitati da «pantasime» fantasmi di donne, incubo dei bambini, terrorizzati dai racconti di queste vecchie e mostruose creature, frutto della fantasia popolare. Romanzate, ma più veritiere, risultano le storie dei briganti i quali, dopo aver compiuto le loro scorrerie, si nascondevano nei fitti boschi di castagno, molti dei quali ubicati a ridosso dell’antica frontiera tra il Regno delle due Sicilie e lo Stato Pontifico. Il brigante, come il castagno, costituisce uno dei miti del mondo contadino meridionale. Secondo molti racconti popolari, sotto vecchi alberi di castagno sono custoditi i favolosi tesori dei briganti. Come scrive Carlo Levi «i briganti misero tesori reali dove la fantasia contadina aveva sempre favoleggiato la loro esistenza» (Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli). La veridicità della presenza dei briganti nei folti boschi di castagno è dimostrata da un’ampia toponomastica, ad esempio il toponimo rovetano «Rava dei quatrini», indica una radura ubicata in mezzo ad un folto bosco di castagno, dove si ipotizza che i briganti nascondessero il loro bottino. Oggi anche in Abruzzo ambiente, economia, antropologia del castagno si vanno progressivamente orientando, sulla scia della multifunzionalità dell’azienda agricola, su nuovi paradigmi. Accanto all’esigenza sempre più avvertita di forme associative e di originali forme di valorizzazione da offrire al turista, portandolo a consumare nel luogo di produzione, si consolida la tendenza a proporre non solo il frutto ma il territorio di riferimento nel suo complesso. Ciò ha portato anche nella regione un rinnovato interesse verso le castagne da parte dei consumatori e delle istituzioni. Tale fenomeno è attribuibile ad un atteggiamento di rivalutazione delle tradizioni culinarie, delle proprietà nutritive attribuite a questo frutto ma anche all’interesse «culturale» che suscitano la castagna ed il suo habitat di riferimento. La crescente sensibilità dei cittadini verso l’ambiente, le produzioni tipiche e verso la tipicità ed autenticità delle tradizioni alimentari costituiscono elementi di forza per una nuova vitalità del castagno e delle sue produzioni. Ieri il frutto era base dell’alimentazione delle popolazioni montane, oggi si configura come prodotto tipico e salutistico, elemento del paesaggio e dell’identità locale, riferimento per attività ricreative, didattiche e culturali e quindi primario attrattore turistico. La castagna, grazie all’alto potere ”evocativo” del frutto, trasferisce valore al territorio in quanto ne esalta le valenze ambientali, arricchisce il paesaggio attibuendogli valori estetici (la foresta di castagno è stata riconosciuta come habitat naturale di interesse comunitario), lo connota sotto l’aspetto sociale e culturale in virtù dello stretto legame tra frutto e valori tradizionali, dà risalto alle sedimentazioni storico-culturali rinvenibili degli elementi antropici caratterizzanti. E, infatti, uno degli obiettivi prioritari del Piano Castanicolo Nazionale, fatto proprio dal nuovo PSR della regione Abruzzo, è di valorizzare e riconoscere la dimensione sociale e culturale dei castagneti, tenuto conto del forte legame tra il castagno e l’identità territoriale. Pertanto, la multifunzionalità del castagno, intesa come somma di potenzialità produttive, protettive, naturalistiche, paesaggistiche, turistico-ricreative e, non ultime, didattiche, nonché sedimento di cultura e distintività, fa del frutto un importante attrattore attorno a cui definire l’immagine di un territorio, in virtù del forte valore simbolico ed evocativo. La castagna, quindi, prodotto agroalimentare di qualità che comunica sapore, gusto, emozione, tradizione, rafforzando la visibilità, la distintività e l’identità del territorio, ne diventa, come tutti i prodotti tipici, sempre più un ambasciatore efficacissimo per la promozione dello stesso. Il cibo e le connesse valenze territoriali connotano sempre più l’Abruzzo e la castagna, pur se prodotto di nicchia, è ormai parte integrante di questo virtuoso processo, come testimonia il successo delle numerose e sempre più attrattive sagre che nel mese di ottobre costituiscono appuntamento fisso di visitatori sempre più numerosi che oltre a degustare le castagne riscoprono non solo l’ambiente, ma la storia e la cultura del territorio abruzzese.
- Tratto da:
S.NATALIA, Il paesaggio del castagno: da pane dei poveri ad attrattore territoriale” (pagg. 33-36), in AA.VV., Frutti Dimenticati e Biodiversità Recuperata – Il germoplasma frutticolo e viticolo delle agricolture tradizionali italiane. Casi di studio: Lazio e Abruzzo -, Quaderno 8/2017 dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), ISBN 978-88-448-0833-4, Stampa – online – La Pieve Grafica Editore Villa Verrucchio srl, giugno 2017;